domenica 22 febbraio 2015

LISIPPO, APOXYOMENOS, ca.320 a.C., COPIA ROMANA, VATICANO, MUSEO PIO-CLEMENTINO

Con (Lisippo) si chiude il periodo classico e si apre la fase ellenistica. Lo scultore non imita la figura umana come un oggetto, di cui si potrebbe, volendo, ricavare un calco preciso; imita l' immagine afferrata dall'occhio, e questa è fatta di macchie colorate, più chiare e più scure. La differenza è tutt'altro che irrilevante: la volontà di rappresentare il corpo non com'è, ma come appare, implica la rinuncia ad una preliminare nozione del vero e l'accettazione del dato di visione, corrisponda o non al vero, come punto di partenza dell'arte. L'ultima conseguenza sarà quella che ne trarrà l'arte ellenistica: non v'è una classe di figure o di cose che formino il mondo dell'arte, ma ogni immagine può interessare l'artista. Anche Lisippo ha un suo canone, che indubbiamente tiene conto di quello policleteo, ma lo rettifica nel senso di considerare tutti i fattori (distanza, condizioni atmosferiche e luminose) che modificano, nella veduta reale, la forma ideale. L'Apoxyomenos (atleta che si deterge il sudore), risponde appunto al nuovo canone lisippeo: coglie la figura, non già nell'atto tipico dell'azione atletica, ma nel gesto occasionale del detergersi; e benché il corpo graviti, con perfetta "ponderazione" , sulle gambe, le braccia protese implicano nella struttura plastica lo spazio vuoto antistante, allontanano il busto, producono un effetto di ombre portate, che entra di pieno diritto nel sistema delle forme plastiche della statua. Benché il risultato sia indubbiamente luministico, non per questo si applica alla scultura la condizione di veduta, da un punto di vista unico, della pittura: da tutti i punti di vista la statua si presenta sempre come un animato complesso di masse d'ombra e di luce. Il suo valore, quindi, non sta nel fatto che, mutando il punto di vista e quindi la configurazione dell'immagine, si abbia sempre lo stesso rapporto di parti, come se il mutare dell'apparenza non potesse mutare la sostanza della forma; ma nel fatto che il mutare del punto di vista muta anche strutturalmente la figura, e l'opera d'arte vale proprio in quanto si dà in una successione d'immagini diverse.
G.C.Argan, op. cit.

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