Con (Lisippo) si chiude il periodo
classico e si apre la fase ellenistica. Lo scultore non imita la figura
umana come un oggetto, di cui si potrebbe, volendo, ricavare un calco
preciso; imita l' immagine afferrata dall'occhio, e questa è fatta di
macchie colorate, più chiare e più scure. La differenza è tutt'altro che
irrilevante: la volontà di rappresentare il corpo non com'è, ma come
appare, implica la rinuncia ad una preliminare nozione del vero e
l'accettazione del dato di visione, corrisponda o non al vero, come
punto di partenza dell'arte. L'ultima conseguenza sarà quella che ne
trarrà l'arte ellenistica: non v'è una classe di figure o di cose che
formino il mondo dell'arte, ma ogni immagine può interessare l'artista.
Anche Lisippo ha un suo canone, che indubbiamente tiene conto di quello
policleteo, ma lo rettifica nel senso di considerare tutti i fattori
(distanza, condizioni atmosferiche e luminose) che modificano, nella
veduta reale, la forma ideale. L'Apoxyomenos
(atleta che si deterge il sudore), risponde appunto al nuovo canone
lisippeo: coglie la figura, non già nell'atto tipico dell'azione
atletica, ma nel gesto occasionale del detergersi; e benché il corpo
graviti, con perfetta "ponderazione" , sulle gambe, le braccia protese
implicano nella struttura plastica lo spazio vuoto antistante,
allontanano il busto, producono un effetto di ombre portate, che entra
di pieno diritto nel sistema delle forme plastiche della statua. Benché
il risultato sia indubbiamente luministico, non per questo si applica
alla scultura la condizione di veduta, da un punto di vista unico, della
pittura: da tutti i punti di vista la statua si presenta sempre come un
animato complesso di masse d'ombra e di luce. Il suo valore, quindi,
non sta nel fatto che, mutando il punto di vista e quindi la
configurazione dell'immagine, si abbia sempre lo stesso rapporto di
parti, come se il mutare dell'apparenza non potesse mutare la sostanza
della forma; ma nel fatto che il mutare del punto di vista muta anche
strutturalmente la figura, e l'opera d'arte vale proprio in quanto si dà
in una successione d'immagini diverse.
G.C.Argan, op. cit.
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